«Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le azioni». (George Orwell)
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martedì 20 marzo 2012

MARIO MONTI O ALFANO BIS?

Pur con tutti i distinguo, posso senz'altro affermare di aver difeso finora l'operato di Monti contro tutto e tutti. Ma se questo governo dovesse cancellare il reato di concussione avra' in me il suo piu' acerrimo nemico.


L'appello de "Il Fatto Quotidiano":
«CANCELLARE LA CONCUSSIONE? MONTI NON AVALLI QUESTA PORCATA»!

L'editorialista del Fatto Massimo Fini denuncia: se il governo salverà B. - imputato nel processo Ruby per il reato che si vuole cancellare - avrà certo l'appoggio del Pdl ma perderà la fiducia degli italiani. Il governo Monti ci ha chiesto pesanti sacrifici, resisi necessari dopo trent’anni di dissennata politica clientelare e di corruzione sistematica (la sola prima Tangentopoli ci è costata 630 mila miliardi di lire, un quarto del debito pubblico) e, da ultimo, dalla drammatica inerzia di Silvio Berlusconi che, mentre l’UE chiedeva all’Italia interventi urgenti, si limitava a inviare a Strasburgo una ‘lettera di intenti’. Come l’Italia non si è liberata da sé dal fascismo, così non si è liberata da sé dal pericoloso pagliaccio. È dovuta intervenire la Merkel per farci capire che se continuavamo su quella strada facevamo la fine della Grecia. Berlusconi è stato cacciato, al suo posto è subentrato Monti. E gli italiani, pur se tartassati da tutte le parti, gli hanno dato fiducia, anche per il rigore morale, distrutto durante il quasi ventennio di berluscon


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MA SENTITE ANCHE VOI QUESTO FETORE?

TUTTI PAZZI PER PENNICA, L'AVVOCATO DEI BOSS
di Giuseppe Giustolisi

Certo che non è semplice spiegare quel che succede ad Agrigento, in vista delle prossime comunali di maggio, e giurare che è tutto vero. Succede che c'è un candidato che si chiama Totò Pennica, vicino ad Angelino Alfano, ex segretario di Calogero Mannino, buon parlatore e legale di grossi capimafia della zona, che per settimane viene conteso dal Pd e dal Pdl. Alla fine Pennica opta per il Pdl, e qualche giorno fa scrive al Prefetto perché preoccupato che alcuni suoi clienti, momentaneamente liberi, possano partecipare alle sue iniziative elettorali, facendogli fare brutta figura.

E dire che il Pd un suo uomo da appoggiare ce l'avrebbe, quel Peppe Arnone, militante di Legambiente, avvocato e consigliere comunale del partito di Bersani, che da una vita mette la faccia nelle battaglie antimafia. Ma forse in questo s'è spinto un po' troppo oltre per gli equilibri di potere del centrosinistra siciliano, denunciando le collusioni dei suoi uomini più rappresentativi con la mafia e il malaffare isolano. Ed è quindi ritenuto un soggetto poco raccomandabile. Anche perché molto popolare da quelle parti. E infatti il Pd ad Agrigento ha preferito evitare le primarie, che Arnone avrebbe vinto a mani basse, forte di un sondaggio Ipsos da lui stesso commissionato che lo dà vincente su tutti gli altri possibili candidati sindaco di tutti i partiti (ben 5 punti sul sindaco uscente Marco Zambuto).

E adesso il partito di Bersani è nel caos. Angelo Capodicasa, ex presidente della Regione Siciliana, storico leader
siciliano del Pci e ora del Pd, e da sempre oggetto degli strali di Arnone sulla questione morale nel partito, non lesinava le proprie simpatie per Pennica, al punto che fino a qualche giorno fa lo avrebbe pure appoggiato. Sì perché Pennica era il candidato del Pd, di Grande Sud dell'ex viceministro Gianfranco Micciché, del Movimento per l'Autonomia di Raffaele Lombardo e di Futuro e Libertà. Poi però Pennica ha allargato l'alleanza al Pdl ed è saltato tutto. “Alfano gioca a rubamazzo”, tuonò Capodicasa. “Pennica traditore ”, gridarono quelli di Fli. Ma per Angelino Alfano, che è riuscito a mantenere l'alleanza con Grande Sud, l'invito a Capodicasa e soci rimane sempre valido. Anche per frenare la corsa di Arnone.

E a questo punto, in quella che ormai è diventata una vera e propria commedia degli orrori, tutto può succedere, come recita lo slogan elettorale di Pennica. “Tra l'avvocato delle vittime della mafia e l'avvocato dei capimafia, Capodicasa manifesta la sua netta preferenza in favore di quest'ultimo”, s'era rivolto la scorsa settimana, in una nota accorata, Arnone a Bersani quando l'accordo con Pennica era cosa fatta, sperando in uno scatto d'orgoglio del segretario Pd. Arnone, dal canto suo, tesse la tela alla sua sinistra e potrebbe provare a riproporre, da solo, il modello della foto di Vasto in formato Valle dei Templi, visto che, come lo stesso Arnone tiene a dire, “non corro con l'appoggio di Lombardo”. Finora, però, Idv e Sel, preferiscono puntare su un candidato autonomo.

E intanto mentre l'Udc ripropone il sindaco uscente Zambuto – che cinque anni fa ha mollato l'Udc e la giunta di centrodestra di cui era assessore, si candidò sostenuto da Ds, Udeur e dallo stesso Arnone (nell'ultimo periodo fortemente critico verso l'attuale giunta per i programmi disattesi) – e il Movimento per l'Autonomia di Lombardo e il Terzo Polo tutto rimangono per il momento al palo, il segretario nazionale del Pd Bersani, risulta non pervenuto. Come a Palermo, dove per la vicenda dei brogli alle primarie e la scelta definitiva sul candidato sindaco preferisce demandare il tutto alla segreteria regionale, anche su Agrigento glissa. “Chissà se Ponzio Pilato era originario di Bettola, ridente comune alle porte di Piacenza, che ha dato i natali al segretario”, chiosava Arnone nella sua nota.

RASSEGNA STAMPA (20 MARZO 2012)


LA TELA DI PENELOPE DELLE LIBERALIZZAZIONI
di Alessandro De Nicola

Diciamo la verità: il decreto liberalizzazioni del governo Monti è un'opera incompiuta. Era partito benino e poi a furia di emendamenti ispirati dalle lobby e inserimenti di norme dirigiste inventate da deputati di scarsa conoscenza delle regole dell'economia ne è uscito un po' malconcio.

Una parte era rimasta più o meno intonsa: quella sulla liberalizzazione delle attività economiche con conseguente facoltà degli esercizi commerciali di tenere aperti i battenti a qualsiasi orario. Anzi, ad essere precisi, dopo la modifica apportata dal decreto Salva Italia, la legge in vigore recita che le attività commerciali sono svolte “senza i seguenti limiti e prescrizioni: il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio”. Più chiaro di così…

Eppure, in nome dell'autonomia regionale, del sacro diritto al riposo o della famiglia, l'inchiostro non aveva ancora finito di asciugarsi sul testo del decreto che già era partito il fuoco di sbarramento delle associazioni dei commercianti, di vari enti locali e di alti prelati. Le Regioni e i Comuni, indifferentemente di destra o di sinistra, hanno cominciato a legiferare in senso restrittivo, ponendo paletti e limiti di apertura sia nel numero di ore che di domeniche, sbandierando l'illegittimità costituzionale della norma in quanto, a loro dire, la competenza legislativa sul commercio non è statale ma loro.

Fortunatamente, per ora i giudici amministrativi dei Tar hanno dato ragione a chi si è opposto a tale impostazione (la grande distribuzione) perché, a prima vista, il Parlamento nazionale ha emanato disposizioni di diritto della concorrenza in attuazione di principi comunitari, settore senza dubbio nelle mani dello Stato. Dalla Toscana al Veneto, da Padova a Milano, finora nessuno ha avuto successo nelle sue manovre ostruzionistiche.

Quali sono gli argomenti di chi non vuol lasciar decidere ai com-mercianti l'orario di apertura dei propri negozi? I sindacati dei commercianti (che come quelli dei lavoratori e delle imprese o dei professionisti si arrogano a torto la pretesa di parlare per tutti loro) paventano una strage di piccoli esercizi a favore della grande distribuzione con “città deserte e colonne di macchine che si dirigono verso i centri commerciali”. Infatti, ad esempio secondo l'assessore regionale veneto «i commercianti hanno bisogno di garanzie, ordine e disciplina», e alla fine rimarrebbero aperti solo «i negozi stranieri che vendono un po' di tutto» e questo creerebbe problemi «di ordine pubblico».
Diavoli di immigranti…

Altri invocano un “diritto al riposo”. Infine, c'è chi è soprattutto preoccupato dal valore sacrale del riposo e dalla necessità che padre, madre e figlio facciano festa insie-me.

Vediamo di capirci qualcosa. Gli argomenti teorici sono tutti a favore della liberalizzazione. Prendiamola dal punto di vista dei consumatori: è ovvio che avere la possibilità di uscire a qualsiasi ora ed ogni giorno della settimana per fare la spesa è una gran comodità per chiunque, così come succede in molti Paesi evoluti. La risorsa tempo è un bene prezioso: non solo ognuno può programmare la sua giornata nel modo che gli è più congeniale, ma l'uso efficiente del tempo genera anche un ritorno economico. Inoltre, la concorrenza può produrre maggiore scelta e minori prezzi: liberalizzare gli orari aumenta l'offerta e quindi la competizione tra operatori.

Peraltro, avere la libertà di andare a fare la spesa chi avvantaggia, i ricchi? No, la disponibilità di tempo, denaro e servitù rimedia qualsiasi inconveniente. Sono le coppie giovani dove i componenti entrambi lavorano e magari devono accompagnare i bambini a scuola, i giovani single che fanno orari impossibili nella metropoli, gli anziani che si sono dimenticati qualcosa a beneficiare della flessibilità. Non sarà un caso che nelle rilevazioni demoscopiche l'80% degli italiani reputino positiva una liberalizzazione degli orari (fonte: Ipsos): l'80%! E nel sondaggio Cermes-Bocconi alla specifica domanda il 76,2% si è dichiarato d'accordo che i negozi aperti la domenica sono un servizio per i cittadini e la percentuale di chi va in centro città la domenica molto spesso o qualche volta si accresce significativamente quando si possono fare acquisti.

Dal punto di vista dell'offerta, l'attività economica aumenterebbe per tutti, botteghe e grandi magazzini. Sempre il centro Cermes –Bocconi stima in quasi 4 miliardi in più all'anno il contributo che l'apertura liberalizzata porterebbe all'economia italiana, lo 0,25% in più di Pil (giova ricordare che nel 2011 l'Italia è cresciuta solo dello 0,2% e quest'anno avremo una recessione).

Gli studi effettuati in Gran Bretagna per il Department of Trade, d'altronde, mostrano effetti benefici della deregolamentazione delle shopping hours sull'occupazione, il tasso d'inflazione, il Pil, minor congestione del traffico (Williamson 206). Gli esercizi più piccoli avranno l'opportunità di rendersi più efficienti attraverso forme di cooperazione sugli acquisti e lo sviluppo di mercati di nicchia. Una chance per non scomparire lentamente come comunque succederebbe senza innovazione.

Quanto all'aspetto religioso della vicenda, poliziotti, infermieri, tramvieri, medici, ristoratori e gli altri milioni di persone che lavorano anche di domenica non dimostrano di essere meno attaccati alla famiglia o religiosi di altri. D'altronde, nel Paese ove la deregolamentazione è più sviluppata, gli Stati Uniti, la gente va in chiesa. Al contrario, nella ingessata Francia non mi sembra che la Chiesa stia facendo un gran proselitismo. Il diritto al riposo, invocato dal sindaco di Milano Pisapia, non è messo in discussione: l'apertura per più ore è interamente volontaria e i contratti di lavoro rimangono in vigore.

È dispiaciuto, perciò, sentire da una persona che fa della ragionevolezza e mitezza i suoi punti forti espressioni che paragonavano la liberalizzazione ad una legge ingiusta ed antidemocratica (o contro lo Stato democratico). Addirittura! Una norma approvata dal Parlamento, che amplia la libertà di scelta soprattutto per i meno abbienti e con il sostegno della popolazione diventa dunque anti-democratica per coloro i quali non la gradiscono. Ad un certo punto, a fronte delle immaginifiche elucubrazioni di Nichi Vendola, è apparso uno spiritoso sfottò che iniziava con la frase del governatore pugliese e finiva con “Niki, ma che stai a dì?”. A udire quel che si è udito verrebbe voglia di chiedere “Giuliano, ma che stai a dì?”.
L'AMACA
di Michele Serra

L'onorevole Gasparri gode fama di politico esperto. Conquistata per accumulo, perché Gasparri fa politica dall'età di circa otto anni. Ma quando parla di Rai l'esperienza gli basta appena a controllare la fuoruscita di fumo dalle orecchie, per salvare almeno le apparenze. È la sostanza che lo tradisce, e insieme a lui tradisce la disperata resistenza che il centrodestra oppone al più o meno dissimulato commissariamento che tutti gli altri partiti (perfino loro) caldeggiano come sola via d'uscita dagli orrori della lottizzazione. Le ragioni sono ovvie quanto insostenibili: durante la lunga stagione politica appena conclusa, Pdl e Lega sono riusciti a imbottire la Rai di loro uomini, quasi nessuno dei quali aveva titoli professionali per poterselo permettere (la destra ha pochi intellettuali di vaglia, e tutti accuratamente emarginati). Nello scandalo annoso della spartizione partitica, ecco lo scandalo specifico di una lottizzazione di così infimo livello da sembrare un vero e proprio boicottaggio: in quale altro Paese e in quale altra epoca, sennò, uno come Masi avrebbe potuto diventare il dominus della prima azienda culturale? Pdl e Lega sanno benissimo che, se in Rai dovesse mai prevalere il merito, per i loro uomini diventerebbe impossibile dirigere anche solo le previsioni del tempo.


SE LE RICHIESTE DELL'EUROPA SONO UNA SCUSA
di Vladimiro Zagrebelski

Non sempre ce lo chiede l’Europa. Nel dibattito politico il rinvio a una supposta richiesta proveniente da una non specificata «Europa», serve spesso a imprimere a una proposta un carattere di indiscutibile cogenza e qualche
volta ad allontanare da sé la responsabilità dell’iniziativa. Ma la formuletta del «ce lo chiede l’Europa» è equivoca se non altro perché non specifica da quale istituzione europea e con quale tipo di provvedimento, la richiesta
venga avanzata. I regolamenti dell’Unione europea si applicano direttamente, alle direttive bisogna dare attuazione, le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione e quelle della Corte europea dei diritti dell’uomo vanno eseguite. L’altra vasta varietà di prese di posizione di organismi europei richiederebbe sempre precisazioni, anche per verificarne il diverso grado e tipo di effetto vincolante. Alcuni temi di attuale discussione e contrasto in Italia, per un verso o per altro, rientrano nel genere della (falsa) osservanza di obblighi europei.

Comincerei ricordando che la responsabilità civile diretta dei magistrati è stata introdotta dalla Camera nella legge comunitaria (che dovrebbe riguardare solo l’attuazione di direttive comunitarie) presentandola come la necessaria conseguenza di un obbligo derivante da sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Ma sarebbe bastato - e basterebbe ancora - leggere quelle sentenze per vedere che si tratta di una tesi del tutto inventata. Le due sentenze cui ci si riferisce affermano soltanto la responsabilità dello Stato per la violazione del diritto dell’Unione, anche quando la violazione sia avvenuta per un atto giudiziario. Mentre dal Consiglio d’Europa viene l’indicazione che i magistrati rispondano civilmente solo in via indiretta (nei confronti dello Stato, responsabile diretto) e solo per dolo o colpa grave. Ecco dunque un caso di falsa prospettazione dell’esistenza di un obbligo europeo, che porta a conseguenze addirittura opposte all’indirizzo proveniente dagli organi europei.

Ma anche nel caso della abolizione del delitto di concussione, che sarebbe obbligata da una richiesta «europea» nell’ambito della lotta alla corruzione, c’è un grave fraintendimento. Nel corso del monitoraggio della messa in opera della convenzione contro la corruzione nelle transazioni internazionali, l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che non è un’istituzione europea) ha indicato che la debolezza della repressione della corruzione deriva innanzitutto dal meccanismo della prescrizione dei reati, che troppo gravemente incide sulla capacità della magistratura di giudicare, e ha richiesto quindi all’Italia di provvedere a modificarne il regime. Analoga richiesta e messa in mora dell’Italia era già venuta dal comitato di valutazione degli Stati aderenti alla Convenzione penale contro la corruzione del Consiglio d’Europa.

Questa quindi la prima, indiscutibile indicazione che è stata data all’Italia. Eco scarsa o nulla finora! Troppi interessi in campo. Si propone invece di abolire la concussione (il delitto del pubblico ufficiale che abusando delle sue funzioni, costringe o induce altri a versar denaro o dare altra utilità) e si dice che si tratterebbe di un obbligo europeo. In realtà l’obbligo derivante dalla convenzione internazionale cui l’Italia ha aderito è quello di combattere efficacemente la corruzione (nella specie nei confronti di funzionari, ministri ecc. stranieri). La questione della concussione è stata posta perché è sembrato che troppo facilmente (tanto più se i fatti si sono svolti all’estero) gli imputati di corruzione possano difendersi dicendo di essere stati costretti o indotti a pagare per l’abuso che il pubblico ufficiale ha fatto delle sue funzioni. In tal caso è punibile chi ha ricevuto, ma non chi è stato costretto a pagare.

E il documento Ocse conclude chiedendo all’Italia di eliminare questo tipo di difesa utilizzata dai corruttori che sostengono di essere stati costretti a pagare. Non quindi l’abolizione della concussione, ma il contrasto al suo richiamo strumentale nel processo. Di questo si tratta e non di altro. La proposta in discussione prevede invece che venga eliminata la concussione dal codice penale e che, come ora avviene, sia il corrotto che il corruttore vengano puniti per il delitto di corruzione, anche quando chi ha pagato sia stato a ciò indotto dal pubblico ufficiale. La condotta di minaccia o violenza del pubblico ufficiale che abusa delle sue funzioni rientrerebbe invece nel delitto di estorsione. Ma anche nel nuovo sistema chi ha pagato il pubblico funzionario cercherà di sostenere di aver pagato perché costretto (estorsione o concussione che sia). Esattamente come ora si può fare con il delitto di
concussione, perché la prova che consente di distinguere la costrizione dalla induzione è difficile e non può che essere valutata dal giudice caso per caso. Una riforma quindi ben poco utile rispetto alle preoccupazioni avanzate dall’Ocse. Una riforma inoltre che, come tutte quelle che maneggiano le previsioni del codice penale, rischia di avere conseguenze imprevedibili nella sua applicazione nei procedimenti penali già in corso.

Ma concludendo va detto che troppo sbrigativamente si usa l’argomento europeo, talora inventandolo, tal altra fraintendendolo.

DOMANDE SENZA RISPOSTA
di Francesco Giavazzi

I problemi dell’Italia si possono osservare da due diverse prospettive: da Roma, come da tutte le capitali, appare in primo piano la politica. Ovviamente non mi riferisco ai ministri di questo governo, ma a quei politici che parlano del futuro dell’Italia e in realtà pensano solo al futuro proprio, a quale posto riusciranno a occupare nel prossimo giro della giostra romana. Si stracciano le vesti se il governo usa il voto di fiducia per evitare che alcuni provvedimenti vengano del tutto svuotati di efficacia in Parlamento: in realtà temono solo che il voto di fiducia annulli il loro potere di intermediazione fra governo e corporazioni.

Alti dirigenti dello Stato che asseriscono l’impossibilità di tagliare anche di un solo euro la spesa pubblica, difendono l’assoluta necessità dei 30 miliardi che ogni anno lo Stato trasferisce ad imprese pubbliche e private: tutti essenziali, e soprattutto quelli destinati alle aziende nei cui consigli di amministrazione essi siedono da anni. Da questo osservatorio si rischia di confondere le corporazioni (lo sono anche Confindustria e i sindacati) con le istituzioni. È un ambiente dal quale è impossibile estirpare il virus della corruzione. Un mondo nel quale diventa persino difficile nominare il direttore generale del Tesoro, incarico forse ancor più delicato di quello di Governatore della Banca d’Italia, e un nodo che il presidente del Consiglio non è ancora riuscito a sciogliere.

Diversamente si può guardare l’Italia da un’altra prospettiva: quella degli investitori che hanno acquistato il nostro debito pubblico e ogni giorno si chiedono se sia ancora un buon impiego dei risparmi che sono stati loro affidati. Essi non risiedono solo a Milano, Londra o New York, ma anche a Omaha, Nebraska, dove ha sede la società di Warren Buffet, uno dei più abili investitori al mondo, a Oslo e a Singapore, dove hanno sede grandi fondi sovrani.

Peraltro non c’è bisogno di spostarsi tanto lontano per avere una prospettiva diversa sui problemi italiani: è sufficiente recarsi a Palermo e fare una chiacchierata con Ivan Lo Bello, il presidente degli industriali siciliani. Da
anni ripete che ogni euro di spesa pubblica è un colpo alla concorrenza, agli imprenditori che cercano di farcela da soli, e invece un aiuto a quelli più abili nel percorrere i corridoi dei ministeri che a esportare. Ci si può anche chiedere come reagiranno i cittadini tedeschi quando leggeranno che l’Italia, dopo essersi ripetutamente (e a mio avviso incautamente) impegnata al pareggio di bilancio nel 2013— senza mai aggiungere «se il ciclo lo consentirà»— dovrà rivedere i propri obiettivi e spostare in là nel tempo quell’impegno.

Da questi osservatori appare chiaro che le difficoltà non stanno nei problemi da risolvere, ma nel mondo che a Roma s’interpone fra il problema e la sua soluzione. Non c’è dubbio che Mario Monti sia in assoluto la persona che meglio conosce e apprezza le preoccupazioni degli osservatori internazionali e che il premier sabato ha accusato di eccessiva impazienza. Capisco le difficoltà di fare fronte a quell’emergenza. Ma anche Prometeo per regalare il fuoco e la speranza agli uomini fu condannato al supplizio...