«Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le azioni». (George Orwell)
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giovedì 15 marzo 2012

L'OBIETTIVO DEL BERLUSCONISMO E' STATO RAGGIUNTO: I giovani non solo non sanno piu' scrivere. Purtroppo non sanno neanche piu' pensare. Adesso sono pronti a diventare dei perfetti "cittadini italiani".


L' «ITA(G)LIANO» A SCUOLA SEMPRE PIÙ SCONOSCIUTO
Marco Lodoli

I dati sono chiari, spietati nella loro oggettività, incontestabili, e ci rivelano una verità che purtroppo conoscevo già da tempo: gli studenti italiani non sanno più scrivere. In tanti anni di insegnamento, dopo aver letto e corretto migliaia di temi, posso affermare con triste sicurezza che sono pochissimi i ragazzi capaci di sviluppare un ragionamento scritto. Capaci di argomentare, esemplificare, cucire le parole e le frasi tra di loro secondo logica e fantasia. Gli errori sono tanti, le concatenazioni sono slabbrate, il periodare è sgretolato, il lessico poverissimo. Sembra quasi che traducano pensieri ed emozioni in una lingua straniera, come quando cerchiamo di farci capire in inglese o in francese, già contenti se qualcuno più o meno ha compreso di cosa stiamo parlando, cosa ci serve, dove siamo diretti. Resta da capire da dove nasce questo smarrimento linguistico, come mai un diciottenne italiano fatica tanto ad esprimersi nella sua lingua. Certo, si legge poco, i libri sono considerati una noia mortale e anche i giornali sono visti come forme di un'altra epoca, reperti storici che misteriosamente continuano a uscire tutti i giorni.

Ma forse la magagna sta ancora prima, nelle modalità del pensiero. Si scrive male perché non c'è più fiducia e confidenza nel pensiero, perché sono saltati i nessi logici, la capacità di legare una riflessione a un'altra, un aneddoto a una considerazione, un prima a un poi. La lingua in fondo è soprattutto l'arte di annodare, incollare, saldare, è lo strumento fondamentale per dare un ordine al caos delle sensazioni e delle esperienze. Scrivendo ogni strappo si ricuce, ogni attimo si connette all'attimo seguente, l'informe trova una forma e quindi una possibile spiegazione. Ma i ragazzi della scuola non sentono più il bisogno di mettere a punto questo strumento: dicono qualcosa e poi il contrario, avanzano a salti, per intuizioni immediate, senza più la voglia di mettere le cosa in fila nel pensiero e nella scrittura. Ridono, piangono, si arrabbiano, sono felici, vivono il caos senza credere più nella logica, vivono la vita senza parole e senza sintassi.

15 commenti:

  1. E' una cosa penosa, disdicevole, auto-lesionista. La mancanza della capacità di espressione personale attraverso la scrittura, manifesta sovente tutta la confusione e la pochezza di spessore culturale che siamo stati capaci di far sbocciare in un giovane. Non è solo demerito nostro, beninteso. E' il substrato, il brodo d'incultura che ci attornia a favorire il disimpegno, fino al disgusto svogliato verso la scrittura. Si perde una grande possibilità d'espressione che non viene sostituita da una altrettanto completa, articolata, esaustiva. La dittatura dell'ignoranza guadagna un altro caposaldo mentre sparge caos a oltranza, per lo scopo dei suoi mandanti.

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  2. anni passati a distruggere la scuola pubblica, a inculcare nella testa della gente che la cultura è un qualcosa di superfluo e inutile, ed ecco dove siamo arrivati...che Paese senza speranza!

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    1. Lo vado dicendo da una vita: un Paese IRRIFORMABILE!!!

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    2. Comunque si battono bene anche gli over "anta"....basta vedere su FB gli svarioni dei plurilaureati....vi assicuro che non si tratta di refuso che può capitare a tutti. Mi riferisco a "ha" verbo, privo di acca, viceversa viene inserito dove trattasi di proposizione semplice, ma gli esempi sarebbero centinaia!In quei casi comunque può supplire il pensiero,che quasi sempre esprime un'idea! Quante volte correggo, spesso mentalmente perchè non posso azzardare, il lessico, il periodo, la frase, il tempo verbale, e lo faccio, appunto con ragazzi avanti negli studi...liceali, se non universitari. Stiamo trasformandoci in società di asini!

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    3. ps. scusate, ho fatto l'asina anch'io "preposizione semplice" e non proposizione!!!!!

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    4. Sono amareggiata da questa verità, tristissima e sistematicamente prodotta dall'alto (se con alto possiamo azzardarci a chiamare il Nano e compagine). Li vedo questi ragazzi adolescenti. Sono disorientati, smarriti. Vivono il caos della loro trasformazione biopsicosociale senza una direzione, una guida nè un minimo di indicazione da parte degli adulti. Per quanto mi riguarda posso osservare l'ambiente in cui (purtroppo) vivo e non posso fare a meno di notare come l'assenza di punti fermi in questi ragazzi sia l'aspetto più gravemente formativo nel senso della non-costruzione di sé. I genitori li hanno cresciuti lontano dai libri, con l'indicazione rafforzata dall'esempio che i libri siano per i secchioni, per persone noiose e tristi. Per asociali senza speranza. Li hanno invece 'addestrati' al calcio, l'unico sport ritenuto tale, qui nella mia città. E non si accorgono, i ragazzini, giustamente, che i veri asociali sono loro. Non sanno niente di quello che succede. Passano le giornate a tirare calci al pallone perchè sperano di diventare Totti o Del Piero. Meglio ancora Beckham, perchè guadagna di più. Non sono come i miei compagni di scuola delle elementari, che giocavano a calcio dopo aver fatto i compiti e mentre sudavano col viso arrossato si sentivano Maradona o Platini, si sentivano forti, invincibili, però poi quando gli si chiedeva cosa volessero fare da grandi rispondevano di tutto: l'astronauta -un classico- il pizzaiolo, il giardiniere, il veterinario, il pilota di aerei... E anche se i genitori non venivano da famiglie 'bene' e in casa giravano pochi libri o poche riviste, comunque crescevano con un tg1 rispettabile all'ora di pranzo, che comunicava le notizie e non faceva gossip. Mi ricordo case vuote, dall'inizio della primavera fino all'inverno, in pratica. Vuote di ragazzi perchè giocavano all'aria aperta e vuote di 'accessori' blandamente sostitutivi della compagnia dell'altro quali videogiochi (statici o dinamici che siano). C'erano pattini, c'erano chitarre. E si imparava a parlare con le canzoni, con i libri di lettura che a scuola erano ritenuti fondamentali. C'era quel noiosissimo tema del lunedì ('racconta come hai trascorso la domenica') in cui eravamo costretti a inventarci qualcosa pur di non riscrivere lo stesso tema per tutto l'anno.. Così ci formavamo, socializzando, inventando storie. Litigando e, spesso i maschi, facendo a botte nel cortile della scuola. I miei compagni di scuola sono per la maggior parte persone sane, intelligenti e colte. Non tutti laureati, ma per la maggior parte capaci di dare risposte ai figli. E' la generazione di mezzo che è la più sfortunata, perchè è stata generata e poi culturalmente abbandonata da chi era appena adulto quando noi eravamo bambini. Sono stati lasciati soli, nelle scuole non c'è più l'abitudine a leggere le poesie per il piacere di leggerle. Hanno quei libri tutti ben strutturati, con schede di autovalutazione, schemi riassuntivi. E poi non conoscono il piacere di leggere perchè una lettura di dieci righi è troppo noiosa. Vedo le mie colleghe dell'università, molto più giovani di me perchè mi sono iscritta molto tardi, che non sanno scrivere. Non sanno parlare. Superano gli esami e poi non sanno costruire un collegamento tra una materia e un'altra, tra un argomento e quello accanto...

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    5. Sono avvilita e anche l'università che frequento è un parcheggio dentro un pozzo, dove non passa l'informazione, dove i professori tengono seminari e convegni tra di loro, senza nemmeno affiggere una locandina all'ingresso principale. Non gira l'informazione(tranne quella cattolica) non girano le idee. Non si fanno progetti. Si vedono solo gli specializzandi che hanno avuto la fortuna di essere eletti ad assistenti, pigolare attorno al professore-chioccia e attenersi a tutti i suoi ordini perchè ancora devono completare gli studi specialistici e perchè da eletti possono ambire a lavorare con lui , un giorno. E gli altri niente. Invadono il call center di proprietà del nuovo candidato sindaco, che rinnova il contratto di mese in mese, imparano a rispondere al telefono e a non farsi più domande. E hanno smesso di leggere o non hanno mai iniziato.
      [SCUSATE NON LO FACCIO PIU'. Giacomo se vuoi lo elimino, ma ormai lo avevo scritto e l'ho postato. Starò più attenta, prometto.]

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    6. TERESA non solo non devi dire di "non farlo più" ma ti chiedo di "invadere" ancora questo spazio, certa di interpretare il pensiero di Giacomo. In certi tratti del tuo primo commento mi ci sono riconsciuta, quasi con commozione. Vorrei commentare più a lungo, ma lo farò non appena nè avrò il tempo....

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    7. Nella stessa pagina di "Repubblica" di oggi appare un altro interessante articolo di Salvo Intravaia,sul livello degli scritti degli studenti in occasione del primo esame veramente importante del loro iter scolastico!

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    8. Teresa, condivido tutto quello che hai scritto, attraverso le tue parole rivedo tutto ciò che mi circonda...

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  3. Come è purtroppo vero!!!! E come vero è che la lingua è un'arte ,un mezzo per raggiungere conoscenza ed esprimere pareri comprensibli a chi vuol ascoltare!!La lingua sufficientemente corretta,è il mezzo per essere liberi!!! PS.se è meglio un panino di un verso di Dante....Giovanna Pellegrinelli

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  4. In linea di massima sono d'accordo...ma per fortuna c'è ancora qualcuno che legge, che si sa esprimere, che ha dei contenuti...molto, moltissimo, dipende dalla famiglia e dagli insegnanti che a volte si ha la fortuna di incontrare...il disastro totale è la mancanza di ideali, di un "credo", di una progettualità...noi avevamo qualcosa in cui credere e per cui lottare...i ragazzi di oggi, tra famiglie ponziopilatesche e media che propongono solo vangate di vuoto, hanno molta più difficoltà ad affrontare tutto...grazie anche ai pannetti caldi con cui molto, troppo spesso, li abbiamo avvolti. Ma non ho voglia di pensare che sia tutto così irrecuperabile, altrimenti dovrei abbassare la guardia e le armi e non lottare più per cercare di educare i miei figli ad assumersi le loro responsabilità...e a "crescere"...non è semplice, in un mondo di "bambacioni" con le microcar e il soldo facile, il gruppo tira e attrae, ma sono sempre stata in prima linea e continuerò a starci, anche se questo, ovviamente, mi rende impopolarissima a casa...Raffaella Capobianchi

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  5. In tutto questo, quanto odio la moda di scrivere, semplificata e simbolica, mutuata dai cellulari. Se posso capire l'esigenza di utilizzare meno caratteri possibili per i cellulari, trovo inaccettabile questo sistema di scrittura per tutti gli altri casi!

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    1. Gennaro...anch'io ho in odio la semplificazione e tutte le mostruosità inventate per messaggiare in fretta e male!. E che dire della morte della punteggiatura? Che non è una cosa da poco... non applicarla o applicarla in modo errato, può sfalsare il senso della frase!

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  6. FRANCESCO ALBERONI - Ormai siamo capaci solo di pensieri frantumati da talk-show

    Dal Corriere della sera (1999)

    Nel mondo moderno sta lentamente scomparendo l'abitudine all'argomentazione e alla dimostrazione. Prevale una forma di pensiero fatta di osservazioni puntuali e di conclusioni affrettate: il pensiero frantumato. Lo si vede un po' dovunque.

    Incominciamo dai talk-show televisivi, in cui i partecipanti possono dire solo brevi frasi, mai esporre un ragionamento completo. Vengono subito interrotti da una battuta, da una telefonata, da un'osservazione che non c'entra. Non possono perciò dimostrare, in modo logico, che quanto dice un altro è sbagliato. Così l'opinione di chi non sa nulla finisce per contare come quella del più grande studioso.

    Il modo di parlare senza argomentare è estremamente diffuso fra i giovani. Basta ascoltare una delle loro radio dove si alternano canzonette, lettere, commenti, battute senza alcun ordine. Anche all'università spesso i ragazzi prendono posizione dicendo 'mi piace, non mi piace' come se si trattasse di un gelato. Invitati a darne la dimostrazione, non sanno farlo. I ragazzi fanno anche molta fatica a seguire un ragionamento logico per un'intera lezione. Si distraggono, perdono il filo. Se l'insegnante vuol catturare la loro attenzione, deve mostrare filmati, immagini, grafici, fare battute. Cioè spezzettare il ragionamento.

    Questo modo di pensare corrisponde alla musica delle canzonette e ancor più a quella da discoteca, ripetitiva e frantumata. Sono pochi i giovani in condizione di gustare dall'inizio alla fine una sinfonia.

    Il pensiero frammentato non è però prerogativa dei giovani. Nelle imprese si usano ormai solo presentazioni in cui vengono proiettati lucidi che contengono fatti, idee salienti, tappe per arrivare alla conclusione. Ma non viene mai esposta l'argomentazione rigorosa nel suo complesso. Perciò, alla fine, quando domandate perché è stata presa quella decisione e non un'altra, vi sentite dare risposte inconsistenti.

    È frammentata anche l'esperienza dello spazio. La gente sale su un aereo e si trova catapultata nella città che vuole. In questo modo le restano nella mente alcune immagini. Però, se viene invitata a mostrare sul mappamondo dov'è stata, non riesce a farlo. Talvolta sbaglia addirittura emisfero o continente. Perché non ha una visione globale dei rapporti spaziali fra le località visitate.

    Lo stesso avviene nel tempo. Si studia e si ricorda sempre di meno la storia. Tutti gli accadimenti fluttuano nel tempo e i fenomeni sembrano piombare dal cielo senza causa: i ribaltoni in Italia, il fondamentalismo islamico, i conflitti etnici nei Balcani.

    Anche la crescente specializzazione produce frammentazione. Tre persone, di cui una conosce solo i semiconduttori, la seconda solo la storia di Bisanzio e la terza solo l'economia monetaria, non possono ragionare insieme. Nessuno può dimostrare niente all'altro perché non hanno esperienze e concetti in comune.

    Di conseguenza, nonostante cresca la scolarizzazione, la capacità di risolvere i problemi complessi diminuisce. Io mi domando se non sia questa la causa di alcuni grossolani errori di programmazione, come quelli dell'aeroporto della Malpensa.

    Qualcuno cerca già i rimedi. Alcune imprese fanno corsi di cultura generale ai propri manager per abituarli a stabilire connessioni tra fenomeni diversi. E in alcune grandi 'Business school' è stata introdotta la filosofia per insegnare nuovamente il ragionamento logico.

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