«Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le azioni». (George Orwell)
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martedì 20 marzo 2012


IL FATTO QUOTIDIANO



LA POLITICA QUALUNQUE
di Marco Politi

È impressionante: la cecità ostinata del ceto politico nei confronti dei bisogni della popolazione. Non c’è un solo partito, da destra a sinistra, in cui la maggioranza degli elettori approvi la rottamazione dell’articolo 18. Vedere l’ultima inchiesta Demos. D’altronde la Fiat è cresciuta (quando era capace di vendere auto) e le imprese straniere hanno investito in Italia per decenni con lo Statuto dei lavoratori. Però i negoziati al tavolo Fornero proseguono come se niente fosse. Il modo di trattare il tema del lavoro è emblematico. Allo smontaggio dell’art. 18 non corrisponde affatto – come veniva proclamato liricamente – la tutela dei giovani attraverso l’eliminazione dei contratti grigi, fucine di precariato. Contratti atipici e false partite Iva non saranno disboscate. Si limeranno gli aspetti più sfacciati, ma sfruttamento e precarietà sopravviveranno.

D’incanto sono spariti dall’orizzonte politico il contratto unico di Ichino per i giovani in ingresso nelle aziende e la proposta Acli sul “contratto prevalente”. Non servono all’idea meccanica e idolatrica del mercato nella sua veste esistente. Primo segnale è stata la resa agli ordini professionali e la rinuncia all’equo compenso per i tirocinanti. È solo ipocrita il “rimborso forfettario” per i giovani laureati, che affollano gli studi degli avvocati. Zero braccio di ferro sul tema da parte dei partiti così pronti a riempirsi la bocca di futuro, crescita e gioventù.

La radice del crollo di fiducia nei partiti sta qui. La classe-non-dirigente evita di trattare i problemi per come sono. Non vuole vedere che il partito maggioritario dell’astensione e del disagio non è anti-politica, ma esprime sete di politica. Non vuole sapere che la società non chiede meno Stato, ma uno Stato più presente nel promuovere lo sviluppo dei cittadini. Guai a discutere del futuro che si vuole. Anche la società civile appare più seduta che protagonista. Eppure un compito cruciale per la politica del XXI secolo esiste: rifondare lo Stato sociale, costruire intorno alla nozione di nuovo Welfare il senso del lavoro, il sostegno alla famiglia, la qualità dell’istruzione, della sanità, della cultura.

È tragico quanto i “riformisti” laici o cattolici siano privi di visione. Certe encicliche di Wojtyla o Ratzinger sono paradossalmente molto più avanzate del balbettio contemporaneo. Oltre Monti, nel 2013 serve uno scatto di creatività. Altrimenti l’Italia si terrà la qualunque.



MONITO E PULPITI
di Marco Travaglio

Da che pulpito viene la predica”, dice il vecchio adagio. Ecco, le prediche non mancano mai: quel che manca sono i pulpiti, almeno quelli credibili. L’a l t ro giorno, chiudendo le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il presidente della Repubblica ha sventolato il tricolore e lanciato il suo monito quotidiano, esortando i partiti a “compor tamenti trasparenti sul piano della moralità” e a “riforme condivise”. Peccato che le due cose non possano stare insieme: per “condividere ” le riforme, bisogna coinvolgere partiti che non solo non garantiscono moralità, ma che han fatto dell’immoralità un programma di vita e di governo. Accanto a lui Schifani ridacchiava: forse, essendo indagato per mafia a Palermo, gli veniva da ridere pensando al suo pulpito. Due anni fa Napolitano e Schifani commemoravano un altro anniversario: il decennale della morte di Bottino Craxi. Il primo scriveva alla vedova deplorando “la durezza senza eguali” con cui il noto tangentaro era stato trattato. Il secondo piangeva in lui il “capro espiatorio”.

Ecco: da che pulpito chi non riesce neanche a condannare l’immoralità di un politico pluripregiudicato invoca oggi più “moralità ” in politica? Sempre a proposito di pulpiti, ecco la predica di Nicola Latorre al sindaco di Bari Michele Emiliano, che non è indagato, ma è finito nelle carte di un’inchiesta per aver accettato in dono una bottiglia di champagne e qualche cozza pelosa da un costruttore i cui parenti fanno politica nel Pd. Dice Latorre a La Stampa: “Chi si ritrova immerso nel ciclone giudiziario, arrestato o indagato, debba fare un passo indietro”. Verrebbe da dire: benvenuto nel club, meglio tardi che mai. Ma anche da domandare: questo principio, inedito in casa Pd, vale per tutti o è riservato, ad personam, a Michele Emiliano e solo ora che dà fastidio al Pd, proponendo una lista civica nazionale con De Magistris, Vendola, Di Pietro e movimenti di società civile per superare le sigle decrepite e screditate della politica?

Il sospetto sorge spontaneo, tantopiù che lo stesso Latorre nella stessa intervista accusa Emiliano di “personalizzazione della politica” per “svuotare il ruolo e le funzioni dei partiti”. E allora da che pulpito predica Latorre? Da mesi il suo spirito guida Massimo D’Alema (anche se ora i due sono in freddo) è indagato a Roma per finanziamento illecito: e non per quattro cozze pelose, ma per i voli gratis che gli offrì una compagnia aerea che finanziava la sua fondazione e pagava mazzette al responsabile Pd per il trasporto aereo (già, perché il Pd ha pure un responsabile per il trasporto aereo). La Procura ha chiesto di archiviare D’Alema perché forse non sapeva che quei voli a decine di migliaia di euro erano a sbafo, e il gip non ha ancora deciso. Ma, a prescindere dal reato, i fatti non danno un bel quadro del rapporto fra politica e affari ai vertici massimi del Pd. Latorre ha forse chiesto le dimissioni di D’Alema quando fu indagato? Non risulta.

Anche perché, se il nuovo principio fosse valso per tutti e per sempre, non solo per Emiliano e solo per oggi, nel 2007 Latorre avrebbe dovuto applicarlo a se stesso. Fu quando il gip Forleo chiese al Senato di autorizzare i pm a usare le intercettazioni del 2005 fra Latorre e alcuni furbetti del quartierino impegnati nelle scalate illegali Unipol-Bnl, Bpl-Antonveneta, Magiste-Rcs e poi condannati per reati finanziari. Latorre parlava delle scalate con Ricucci e Consorte e, se il Senato avesse autorizzato l’uso delle sue conversazioni, sarebbe stato indagato per aggiotaggio. Invece il Parlamento salvò lui e due del Pdl (e lo stesso fece il Parlamento europeo per D’Alema), così la Procura di Milano non potè indagarli. A prescindere dai reati, è più grave trescare con una banda di fuorilegge che arraffano banche e giornali, o accettare quattro cozze pelose? Ora Latorre chiederà le dimissioni di Latorre?



TRASPARENZA ZERO
Incompleti, tardivi e difficili da consultare
Così i parlamentari nascondono i propri redditi

Bisogna infilarsi nel cortile della Chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza. Seguire il cartello che indica il Servizio Anagrafe Patrimoniale, suonare al portiere, salire al sesto piano e percorrere tutto il corridoio bardato dal tappeto rosso. Poi, prima porta a sinistra, dichiarare di essere iscritti nelle liste elettorali di un Comune italiano. Consegni un documento e finalmente il librone alto dieci centimetri è tuo. Ce ne sono solo cinque copie, però. Così, per poter consultare le dichiarazioni dei redditi dei parlamentari italiani, bisogna fare la fila. È un diritto acquisito dal 1982 ma non sono bastati trent'anni a levargli di dosso la polvere. Altro che operazione trasparenza: “Vietata qualsiasi riproduzione”.

Così, in tre a dividersi una scrivania, gli altri abbarbicati su un divanetto, giornalisti e cittadini si strappano di mano il Bollettino. E una volta conquistato, la delusione è tanta. Siamo al quarto anno dall'elezione, dunque deputati e senatori non si mettono a ripetere cose già dette. Case, auto, partecipazioni azionarie: si scrive solo se qualcosa è cambiato. Impossibile confrontare con le dichiarazioni precedenti. E nemmeno importa se nel frattempo sono passati quasi due anni. Ieri, 19 marzo 2012, erano consultabili le dichiarazioni patrimoniali del 2011, relative all'anno 2010.

Per esempio sappiamo che in quell'anno il senatore Pdl Antonio Azzollini ha comprato 5000 azioni Mediaset
e altrettante ne ha acquistate il leghista Roberto Castelli: ma quanti sono quelli che già le possedevano? E quanti
quelli che le hanno comprate l'anno dopo? Oppure: che senso ha sapere che il Pd Pietro Ichino ha venduto 20 mila azioni dell’Eni comprate nel 2009 se non so quali altre ha? O ancora: che valore ha scoprire che il Pdl Alessio Butti ha comprato un garage a Ossuccio se non conosco le sue eventuali partecipazioni in società? Va a finire che per la maggior parte dei parlamentari si conosce solo il reddito, che spesso coincide con lo stipendio della Camera o del Senato.

Pochissimi allegano le dichiarazioni dei redditi dei familiari, visto che le chiede solo l'Antitrust, per valutare se qualcuno aggira eventuali conflitti di interesse. Ci sono rare eccezioni. Per esempio il senatore Pdl Lucio Malan. Lo sa anche lui che quel modulo non è trasparente per niente. Così, aggiunge: “Per chiarezza dichiaro per intero il mio patrimonio”: 174 mila e 270 euro. Segue elenco con appartamento a Roma, automobili e azioni. Solo 240 deputati hanno messo on line il loro 730 (c'è anche il presidente Gianfranco Fini, 201.115 euro), una cinquantina i senatori che hanno scelto la strada della trasparenza via Internet (qui non c'è il presidente Renato Schifani, il Bollettino dice 225 mila 792 euro). Pare che l’abitudine abbia fatto breccia almeno tra i leader di partito. È accessibile con un clic la dichiarazione patrimoniale dell’Idv Antonio Di Pietro, 182 mila euro nel 2010.



Avvocati e medici fanno il botto
IL DOPPIO LAVORO PAGA TRA I PROFESSIONISTI
TRASPARENZA ZERO

Bruno, Bongiorno e Consolo. Poi Paniz, Ghedini e Longo. Tra i parlamentari più ricchi spiccano come al solito gli avvocati. Da Donato Bruno, patrocinante in Cassazione, con un reddito imponibile secondo solo a Silvio Berlusconi e Antonio Angelucci, pari a 1 milione e 751 mila euro a Giulia Bongiorno con 1.720.936. Ma nella top ten ci sono anche Giuseppe Consolo (Fli), con 1 milione 630 mila euro e Maurizio Paniz con 1.482.270. Scendono rispetto
all’anno scorso i guadagni di Niccolò Ghedini con 993.901 euro, che resta però sempre sopra all’altro difensore di Berlusconi, il senatore Piero Longo, che dichiara 656.292.

I PROFESSIONISTI doppiolavoristi del Parlamento non sentono la crisi, anzi. E se con la pubblicazione della dichiarazione dei redditi il problema torna all’ordine di giorno – e magari qualcuno prova a risolverlo – si fa presto a insabbiarlo. É successo l’anno scorso, quando nella manovra era previsto che per deputati e senatori con altre attività e un reddito pari o superiore al 15 per cento dell’indennità della carica parlamentare, quest’ultima venisse dimezzata. Significava cioè che un il doppiolavorista avrebbe percepito dall’incarico pubblico circa 60 mila euro anziché l’indennità intera (2700 euro netti al mese in meno). Briciole, si direbbe. In confronto al tornaconto dell’uso dei marchi di Camera e Senato nei biglietti da visita, per esempio. Ma abbastanza importanti da far saltare la norma che è stata modificata in men che non si dica. Il punto è che i parlamentari con doppio stipendio occupano quasi la metà degli scranni tra Montecitorio e Palazzo Madama. Oltre ad essere tra i più assenteisti, per poter esercitare la seconda professione (la media arriva al 37%). La palma d’oro del fannullone la vince a mani basse Antonio Gaglione, ex Pd ora al gruppo Misto, col 93,33% di assenze. Eppure Gaglione continua a percepire lo stipendio statale oltre al suo da medico, che lo porta a guadagnare in totale 579.219 euro. E mentre per i magistrati è obbligatoria l’a spettativa , non lo è per gli avvocati, la categoria più rappresentata in Parlamento insieme ai dirigenti, agli imprenditori, ai medici, ai giornalisti e ai docenti di scuole e università. “L’Italia dei Valori è stata sempre contraria ai doppi incarichi e doppi lavori – ha spiegato l’onorevole Antonio Di Pietro, in prima linea con l’Idv nella battaglia contro i professionisti in Aula – noi riteniamo incompatibile l’attività da parlamentare con altri incarichi e altre attività professionali e d’amministrazione che contribuiscono a costruire un inaccettabile conflitto d’interessi. Basta ai doppi e tripli incarichi e basta con coloro che continuano a svolgere le loro professioni pur essendo in Parlamento, come gli avvocati, i commercialisti, i lobbysti di ogni genere che fanno da deputati gli interessi loro e dei loro clienti”.

IN AMERICA, se sei un parlamentare, non puoi svolgere la professione di avvocato. In più i membri del Congresso possono percepire redditi ulteriori non superiori al 15 per cento dell’indennità parlamentare. Insomma, se l’indennità è 100 mila dollari, si può arrivare massimo a 115. Una ricerca di Antonio Merlo dell’Università della Pennsylvania, dimostra che il tasso di partecipazione si riduce mediamente dell’1% per ogni 10 mila euro di reddito extra. In Italia non è difficile da dimostrare .



LE RICCHEZZE DEGLI INDAGATI
Sono protagonisti di diverse inchieste della magistratura, anche per i costosi regali ricevuti o per gli acquisti effettuati durante il loro mandato: dalle auto di lusso agli orologi. Ancora ieri i loro redditi sono stati resi pubblici. A partire da quello del deputato Pdl Alfonso Papa, ritornato in aula dopo l’arresto a Napoli: nel 2010 ha dichiarato 125.910 euro. Il collega Nicola Cosentino lo batte con 167.226. Marco Milanese, che le inchieste della magistratura ci raccontano come affittuario dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e amante di autovetture di gran marca, dichiara 268.827 euro di reddito complessivo: nel 2010 ha venduto un fabbricato a Cannes, diecimila azioni del Credito valtellinese ed è stato in possesso di una Fiat Cinquecento da aprile ad agosto del 2011. A Palazzo Madama Alberto Tedesco, considerato dall’accusa il “dominus ” delle nomine Asl in Puglia, dichiara il solo reddito da senatore (128.571 euro). L’ex sottosegretario Antonio Caliendo, invece, finito nell’inchiesta sulla P3, dichiara 308.859 euro, ha venduto un terreno a Pupicchio, vicino Nola che aveva in comproprietà con il fratello. Anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini, all’epoca presidente e consigliere d’am ministrazione del Credito Cooperativo Fiorentino (si dimetterà nel luglio 2010) proprio a seguito dello scandalo P3, afferma di aver guadagnato solo lo stipendio da parlamentare (123.076 euro). Il senatore Marcello Dell’Utri, pochi giorni fa “salvato ” dalla Cassazione da un’accusa per concorso esterno in associazione mafiosa (la pratica è stata rispedita all’Appello), dichiara 410.225 euro. Amedeo Labocetta, il deputato Pdl indagato per favoreggiamento, da ieri nuovo coordinatore cittadino del partito a Napoli, dichiara 163.285.



PARTITI: Lo strano caso del tesoriere Lusi
Sospettano che abbia sottratto ai conti della Margherita più di 20 milioni di euro. Sicuramente vive in una villa milionaria a Genzano e per andare alle Bahamas spende 80 mila euro. Eppure Luigi Lusi, l’ex tesoriere indagato dalla Procura di Roma, nel 2010 ha dichiarato “solo” 332 mila euro e 29 centesimi, ha perfino venduto una Lancia Delta e una Mercedes ML e si è comprato una misera 500. Con il partito aveva un rapporto “fiduciario”, tanto che sempre due anni fa sono salite all’87% le quote in suo possesso della Edizioni Dlm, la società editrice del quotidiano Europa . Lui giura che le sue parole possono far crollare il centrosinistra perché i soldi del partito li hanno presi tutti. Ma a guardare le dichiarazioni dei redditi dei suoi ex compagni di partito non si trovano cifre
esorbitanti. A cominciare da Francesco Rutelli: 137.262 euro. Enzo Bianco, per esempio, nel 2010 non solo ha rottamato una Megane Scenic (e non ha acquistato nessuna nuova auto) ma ha dichiarato solo 136.609 euro, lo stipendio da senatore. Poco più per Lucio D’Ubaldo, 158.760 euro, Franco Marini: 192 mila e 341 euro, Dario Franceschini 225.854, Luigi Zanda 169.705. Lo stesso vale per l’altro partito sui cui conti sta provando a fare luce la Procura di Roma. Che fine abbiano fatto i 50 milioni di euro del finanziamento pubblico spariti non si capisce certo dalle dichiarazioni patrimoniali degli ex aennini. Il più ricco, va detto, è l’ex tesoriere, Francesco Pontone: 365 mila 646 euro. Gli altri dichiarano stipendi da parlamentari: Maurizio Gasparri (122 mila euro) è diventato comproprietario di una casa a Roma, ma l’ha ereditata. Andrea Augello: 130 mila euro. Va meglio a Ignazio La Russa, 282 mila euro. Non era di An, ma è un ex finiano Luca Barbareschi, che nel 2010 ha comprato casa a New York. In tutto il Parlamento solo in 4 (due deputati e due senatori) hanno allegato il resoconto delle spese elettorali sostenute. Uno solo parla di “contributo al partito”: è proprio un ex An, Nino Strano: nel 2010, 25 mila euro.

3 commenti:

  1. Grazie per l'ottima rassegna!

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  2. Questi interessanti articoli andrebbero ognuno commentati per conto suo, poichè è tecnicamente difficile, commentarne uno qui tra i commenti e poi tornare su per continuare la lettura del secondo...
    Il cappello di Politi è quello che mi ha colpito maggiormente perchè ha la forza, in mezzo a questo anestetico clima in cui vogliono a forza ficcarci, di dire pane al pane e vino al vino: "La classe-non-dirigente evita di trattare i problemi per come sono. Non vuole vedere che il partito maggioritario dell’astensione e del disagio non è anti-politica, ma esprime sete di politica. Non vuole sapere che la società non chiede meno Stato, ma uno Stato più presente nel promuovere lo sviluppo dei cittadini. Guai a discutere del futuro che si vuole. Anche la società civile appare più seduta che protagonista. Eppure un compito cruciale per la politica del XXI secolo esiste: rifondare lo Stato sociale, costruire intorno alla nozione di nuovo Welfare il senso del lavoro, il sostegno alla famiglia, la qualità dell’istruzione, della sanità, della cultura."

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  3. Concordo con Travaglio quando gli puzza la predica che fa Latorre (salvato dal Parlamento tempo fa per agiotaggio) al Sindaco di Bari Michele Emiliano,(non è indagato) ma finito nelle carte di un’inchiesta per aver accettato in dono una bottiglia di champagne e qualche cozza pelosa da un costruttore i cui parenti fanno politica nel Pd. Questa predica di Latorre, proprio ora che Michele Emiliano dà fastidio al Pd poichè propone una lista civica nazionale con De Magistris, Vendola, Di Pietro e movimenti di società civile per superare le sigle decrepite e screditate della politica... una predica che puzza di bruciato.

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