«Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le azioni». (George Orwell)
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mercoledì 14 marzo 2012

I «DESPERADOS» DEL PDL E IL NODO DELLA GIUSTIZIA



Stride d'impulsi rivoltosi la lettera 8 marzo, dove 46 senatori Pdl chiedono una mozione di sfiducia nel ministro colpevole d'avere detto, conversando privatamente, che una certa politica gl'ispira schifo (alludeva al vertice dei partiti, impedito dal segretario berlusconiano perché l'ex premier considera: tabù giustizia e Rai): piccola guerra intestina; i miracolati d'una lunga campagna piratesca rimpiangono la baldoria, sapendosi esclusi dal quadro politico appena normale, perciò insorgono contro l'establishment interno, compromesso nel sostegno al governo cosiddetto tecnico; e spiegano al vento bandiera nera, disgustati del padrone abulico.

In chiave d'opera buffa ricordano desperados fascisti nell'incipiente primavera 1945, quando i cautelosi cercavano vie d'uscita, con qualche importante differenza: Alessandro Pavolini, devoto alla «bella morte», aveva titoli intellettuali, inclusa un'opera narrativa quasi sperimentale, Scomparsa d'Angela, lodata dalla critica (inverno 1940). L'incidente è meno futile di quanto lascino intendere i gerarchi sicuri della sopravvivenza, male che vada.

I due punti in questione toccano nervi scoperti: l'asta delle frequenze televisive non è materia ignorabile dal governo, impegnato a rompere i privilegi parassitari; e il Senato voterà sul canagliesco ddl con cui la Camera ha congegnato una responsabilità civile diretta dei magistrati, esponendoli a pressioni intimidatorie. Qui va detto, l'Italia soffre ancora d'una giustizia diseguale. Che i politicamente protetti meritino riguardi, suona ovvio tra Otto e Novecento: caduto l'ancien régime, l'eguaglianza legale risulta lesa in pratica dal rapporto in cui le toghe stanno col potere esecutivo; dove la carriera dipenda dal ministro, solo gli eroi resistono ai suggerimenti.

Ottantasei anni fa un orribile delitto diventa materia veniale nel processo Matteotti, tra Roma e Chieti, dov'è finito il dibattimento: Roberto Farinacci, segretario manigoldo del Pnf, difende il capo sgherro omicida; volano insulti al morto e minacce agli oppositori ormai muti. Il cordone ombelicale s'è rotto da poco più d'un mezzo secolo e lunga essendo la memoria nei corpi collettivi, era improbabile una metamorfosi fulminea.

Tale fisiologico ritardo spiega come mai la criminalità in colletto bianco sotto ala politica fosse largamente impunita: non che mancassero inquirenti seri e perspicaci, laboriose istruzioni, scoperte importanti; vecchi riflessi mantenevano torpido l'apparato. Corre ancora una metafora: «porto delle nebbie»; così svanivano gravi casi penali surrettiziamente tolti alla sede competente. Nel collasso del regime consortile, vent'anni fa, erompono malaffari sommersi. Spesso sono i coinvolti a denunciarsi.

Congiunture simili durano poco: è alle porte, finto uomo nuovo, chi s'ingrassava nel sistema, fondandosi l'impero mediatico; vengono puntuali le proposte d'uno scioglimento liquidatorio. Quanto sia organicamente viziata la macchina politica, consta dalla fine secolo: dopo un semestre berlusconiano e due anni d'interregno, ha vinto lo schieramento centrosinistro; il governo porta l'Italia in Europa ma l'alchimia parlamentare segue vie storte. Calamitosi lavori bicamerali riqualificano l'affarista sconfitto. Inter alia contemplano una riforma giudiziaria i cui teoremi aveva formulato Licio Gelli, fondatore della P2, e vi mette mano Cesare Previti, avvocato d'affari loschi dell'ex premier. Idee geniali: un pubblico ministero comandato dal governo; magistratura ricondotta all'antico costume, ossia riguardosa verso chi lo merita nelle mercuriali del potere. Poi il vizio s'aggrava: era lassismo ambientale; le norme esistevano, blandamente applicate o eluse; l'invasore se le rifà su misura truccando l'arnese normativo. Vedi il falso in bilancio ora impunemente praticabile, ostacoli alle rogatorie, scudi immunitari, prescrizione ridotta d'una metà a beneficio del white collar's crime, divieti probatori; ed era solo un preludio: poveri noi se non l'avessero costretto a dimettersi le borse mondiali, affondando i titoli dell'Italia che aveva condotto a due dita dalla bancarotta, lui, tra i più ricchi al mondo, e sappiamo solo qualcosa del come lo sia diventato. Aveva un arsenale in serbo, tra dibattimento elefantiaco e processo breve: l'impunità garantita a chiunque sia abbastanza ricco da condurre partite lunghe; privacy ermetica, sicché discorsi riservati non siano intercettabili, qualunque cosa i collocutori dicano.

Poi sarebbe la volta dell'ordinamento giudiziario, riconfigurato nel modello piduista. Voleva e vorrebbe una repubblica dove lui regni quasi fosse Mediaset, senza molesti poteri concorrenti, egocraticamente. Quale concetto abbia d'uno Stato moderno, l'abbiamo visto nel dibattimento milanese sul caso Mills: i famigli minacciavano crisi di governo se il Tribunale avesse condannato; dal Capo dello Stato pretendeva interventi persuasivi su procure e organi giusdicenti.

Torniamo ai quarantasei protestanti. Li sconcertano le eclissi catalettiche del Dominus, sulle cui pulsioni contavano: non è più lui; che sia un sosia sostituito dai cortigiani all'autentico Olonese? Interessante caso psichiatrico, come nell'Enrico IV pirandelliano, trasmutato o simulatore. Non che abbia perso gli spiriti animali: ogni tanto, ad esempio, ripesca l'allegra idea d'insediarsi al Quirinale; né va a dire il rosario nelle dacie dell'amico trionfante Vladimir Putin o imita Carlo V d'Asburgo che, avendo abdicato, passava le giornate in messinscene liturgiche a sfondo funereo. Sembra avere capito che sarebbe la fine dell'impero affondare il governo. La roulette russa gli costa meno dell'andare alle urne. Pare dunque presumibile che misuri i passi nell'anno d'una interminabile vigilia elettorale, coltivando le couches fedeli: lo sappiamo oppositore d'ogni seria politica contro la corruzione; e il partito al quale sta cercando un nome, perché l'attuale non tocca abbastanza le viscere, funge da lobby naturale d'ogni groviglio parassitario.


(Franco Cordero - La Repubblica)

13 commenti:

  1. Ben detto e ben scritto. Ritengo e metto in risalto l'impalcatura, la struttura del malaffare sul quale finora si è retto il dux iena ridens: "il partito al quale sta cercando un nome, perché l'attuale non tocca abbastanza le viscere, (che) funge da lobby naturale d'ogni groviglio parassitario." Questo è il suo braccio armato (che legifera a suo piacimento). Mentre il suo braccio destro... sono gli elettori che ancora compongono lo zoccolo duro (e puzzolente) del suo gelatinoso consenso italiota.

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  2. Eccomi qui, Giacomo... mi sono registrata su google+... adesso posso rilassarmi (si fa per dire) e godermi i tuoi post :o)

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  3. Grazie, amici! Capisco che tutte le novità disorientino un po' all'inizio. Ma - col tempo - penso che potranno essere superate.
    Resistere... Resistere...Resistere... ;)

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    1. Alle 6 di questa mattina già cercavo di capire il funzionamento, dammi tempo Giacomo (e sai che in questo periodo ne ho poo) !

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    2. Giacomo,sono arrivata ...

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    3. presente... buon pomeriggio e buon lavoro
      Ciao Giacomo

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  4. eccomi Giacomo ... tanti auguri di buon blog !!!

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  5. Bene Giacomo , ci sono anch'io !

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  6. Per favore,ditemi...mi leggete ?

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  7. Ok! penso che funzioni.
    Giacomo complimenti è veramente bello ^-^

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  8. Se ci sono e mi leggete... Auguri Giacomo!

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